Darrel Wallace Jr., al secolo Bubba Wallace, veste il numero 23. Corre, coraggiosamente, sui circuiti della massima serie della Nascar Cup.
Un gran sorriso, tante lacrime, voglia di superare i propri limiti, ma anche e soprattutto quelli culturali che caratterizzano la società degli stati del sud negli Stati Uniti d’America.
In gara contro ogni limite
RACE è una serie targata Netflix che racconta la vita di un atleta nero, stavolta operativo negli sport motoristici, ed il mondo che lo circonda. Sulla scia di Colin in Bianco e Nero, la produzione americana porta sugli schermi delle case di tutti un caso di razzismo.
Bubba Wallace ci trasporta in un mondo di successi ed insuccessi. Non è l’atleta perfetto, indubbiamente è un uomo coraggioso.
Lo sport che pratica è, per tradizione, un fenomeno culturale profondamente radicato negli stati del Sud degli Stati Uniti d’America, gli stessi luoghi che, purtroppo, ospitano ancora una mentalità tutt’altro che progressista. La Nascar, infatti, solo recentemente è stata coinvolta in un processo di rinnovamento.
Si è finalmente detto addio alla bandiera confederata sui circuiti. E questo, diciamolo chiaramente, è un grazie che va detto a Wallace.
RACE: una vittoria fuori dalla pista
RACE racconta, come filo conduttore di tutta la serie documentaristica, la carriera da pilota di Bubba Wallace, che non è stata sempre caratterizzata da primi podi. Anzi, complice l’emotività e la sensibilità allo stress di Wallace non possiamo dire di trovarci al cospetto di un campione assoluto.
Ma la gara, quella che viviamo in questa serie, è quella contro la cultura retrograda. Wallace in pista, e fuori dalla pista, combatte contro il razzismo.
Lascia quasi di stucco scoprire che, per aver preso posizione chiara sul movimento Black lives matter trovò, all’interno del box della propria scuderia un cappio.
Ma lui, pilota d’auto, diventa attivista. Sempre più presente mediaticamente, si espone. Si oppone all’inerzia sociale. Insiste, e riesce in qualche modo a sensibilizzare gli altri, intorno a se.
Più piloti gli danno supporto, proprietari di scuderia, influenti personalità della Nascar si espongono. Qualcosa si smuove, la bandiera viene proibita. Quella bandiera che, ancora oggi, racconta e rappresenta lo schiavismo degli stati del Sud.
RACE, razza.
C’è un gioco di parole nel titolo della serie di Netflix. Race, gareggiare – il verbo -, razza – il sostantivo.
Torniamo a parlare di razza, e di come questo concetto assurdo esista ancora nel linguaggio e nel comun sentire degli uomini.
La storia narrata, comunque, presenta un quadro alquanto complesso da comprendere. Come si possa non voler sponsorizzare, ad esempio, un team vincente solo perchè il primo pilota ha la pelle nera non è facile da capire. Neppure durante la visione della serie riusciremo a darci risposta.
La scuderia, comunque, che accoglie oggi Bubba è quella di un altro campione dalla pelle nera, Michael Jordan. Il percorso del pilota continua, ed è sempre un po’ più in crescita.
Una storia che continua…
Non abbiamo un “the end” reale, all’ultima scena di questa serie. Anzi. E’ in continuo divenire, anche senza la presenza delle videocamere.
L’intera Nascar, con dichiarazioni ed interviste, si presenta pronta a combattere contro il razzismo, pare abbia messo in atto anche azioni concrete per tenere lontano dalle piste e dai circuiti i simboli di questa grettezza mentale.
Intanto la battaglia continua, fuori e dentro le serie, i film, le gare e a combatterla c’è anche la gente comune.
RACE è una serie piacevole, non avvincente come Colin in Bianco e Nero (che mi è piaciuta molto di più… proprio nel risultato finito), ma interessante e stimolante.
Perchè una serie tv, in realtà, non è per forza solo intrattenimento, ma anche una scusa per pensare al mondo in cui viviamo.