Oslo è la capitale della Norvegia, si affaccia sul Mare del Nord e regala sensazioni contrastanti a chi la visita.
E’ una citta moderna, silenziosa, dinamica, viva e ricca di musei. Non si può prescindere dal visitarla se si viaggia alla scoperta della Norvegia.
Oslo: l’architettura degli spazi
Oslo è un luogo che mi ha sorpreso. Non è Roma, non è Firenze, così come non è Parigi, oppure Londra. Non ci si perde con il naso all’insù alla ricerca di architetture che raccontano un glorioso e meraviglioso passato, bensì ci si perde in forme geometriche snelle e lineari, in materiali brillanti e dalle tinte soffici, in modernità e razionalità.
Una città razionale
Dopo aver lasciato Bergen, cittadina di mare dalle casette tipiche e dai colori vibranti, ed aver fatto tappa a Drammen (ma ve ne parleremo rapidamente poi), ci siamo diretti ad Oslo.
Siamo giunti in città con il treno, come per il viaggio precedente prenotato in anticipo con la compagnia ferroviaria Vy. Ad Oslo ci sono più stazioni, quindi valutate bene – in funzione anche ad dove scegliete di pernottare – a quale scendere. Non sono molto distanti tra di loro, ma neppure così vicine da essere intercambiabili.
Appena arrivati, con una temperatura più calda del previsto, ci siamo diretti subito all’appartamento per abbandonare zaino e valigia. Qui il pomeriggio ha, in primavera, una durata decisamente più ampia che in Italia. Per una prima esplorazione in città abbiamo deciso di muoverci leggeri… in previsione di un ritorno in casa nella tarda serata.
Centro città: Aker Brygge!
Abbiamo scelto di pernottare proprio a due passi dal Palazzo Reale, non lontano da quello che è il centro della vita ad Oslo, in un quartiere ottocentesco.
Prima tappa: il mare, dunque ci siam incamminati per raggiungere il quartiere conosciuto come Aker Brygge. Qui ci sono le sedi delle principali aziende presenti sul mercato norvegese, tra cui Google, tanti ristornati, pub, enoteche e locali per la vita diurna e notturna, ma è anche una passeggiata sul mare da cui poter godere del tramonto (su uno skyline portuale).
Più che la bellezza architettonica del luogo, che è molto molto moderno, abbiamo notato come le persone fossero rilassate. Qualcuno seduto in panchina, nonostante l’ossessionante presenza di gabbiani, a guardare il mare, qualcuno nel dehor di un locale a sorseggiare una birra, qualcuno in uscita dagli uffici e in lontananza ragazzi che ballavano per strada. Ogni tanto un traghetto attracca ed uno parte. Nessun odore di gasolio, nè di motori che bruciano combustibile.
Dal Tjuvholmen Badeplass abbiamo goduto del tramonto sul mare (sono passerelle galleggianti da cui ci si può anche tuffare). Proprio li accanto, poi, ci sono alcune delle saune norvegesi: luoghi in cui poter fare una sauna bollente subito dopo un bagno nel mare ghiacciato, ed erano piene!
Tanta regolarità nelle forme architettoniche
Passeggiando abbiamo raggiunto un’edificio che già da lontano fa notare la sua imponenza, si tratta del Rådhuset.
E’ il municipio, che si mostra imponente a chi giunge dal mare. Un’edificio molto razionale, con mattoni scuri e richiami ad un’architettura che si ispira fortemente a quella sovietica. Purtroppo nei nostri giorni di permanenza ad Oslo non era aperto alle visite, quindi non abbiamo potuto curiosare negli interni, ma esternamente è impressionante.
Subito cade l’occhio sulla quasi totale assenza di mezzi di locomozione privata (che non siano biciclette e monopattini) all’interno dei confini cittadini, per lo più nel centro città.
Passeggiando tra strade senza paura di essere investiti, con il crepuscolo che avanza, abbiamo raggiunto il ristorante che ci avrebbe accolti per la serata.
La nostra cena è stata simpatica ed allegra da Elias mat & sånt, assaggiando il famoso pane con gli spinaci (35Kr. a portata, oltre la prima gratuita), una zuppa di carne di renna, del filetto affumicato di cervo con formaggi locali, dei dolci molto semplici e piacevoli (il caramel pudding davvero delizioso). Una cena condita da sorrisi amichevoli che il cameriere, di origine greca, non ha saputo trattenere, soporattutto dopo aver scoperto che fossimo italiani.
Anche lui ci ha detto di essere felice di vivere in Norvegia e super tifoso, all’Eurovision Song Festival, dei nostri Mamhood e Blanco.
Sprazzi di storia
Oslo è indubbiamente una città moderna, abbiamo avuto modo di confermare le prime impressioni anche i giorni seguenti.
Svegli di buon ora ci siamo mossi in direzione della fortezza di Akershus. Uno degli edifici più storici della città, la fortezza che domina il mare. Da qui, passeggiando per giardini curati, si possono ammirare diversi angoli di Oslo da una posizione soprelevata.
Vale la passeggiata ma non offre un grande approfondimento sulla storia cittadina, nè della Norvegia.
Oslo come un piccolo villaggio
Da qui, dunque, abbiamo deciso di proseguire per uno degli angoli più caratteristici della città.
Si trova nel cuore cittadino.
Il Damstredet è uno spaccato di una Oslo che non esiste più. Qui, piccolo quartiere sulle colline intorno al centro, è possibile passeggiare tra piccole e strette stradine che affiancano antiche case colorate di legno. Un assaggio delle atmosfere godute a Bergen, insomma!
Per raggiungere Dramstredet bisogna camminare, attraversando parte della città.
Le strade dello shopping sono vivaci, piene di persone in cerca di qualsiasi cosa tra negozi d’alta moda e caffetterie.
L’arrivo, invece, in questo angolo storico è un salto in una dimensione diversa: silenzio, quiete, profumo – si fa per dire – di passato!
Modernità urbana
Ci lasciamo alle spalle la Oslo più riservata, quella più silenziosa e antica, probabilmente anche meno nota ai turisti.
Ripuntiamo al mare e la nostra tappa, per chiudere la giornata, sarà l’isola di Hovedoya.
Lungo la strada per raggiungere il molo ci rilassiamo passeggiando nella Oslo di oggi.
Non è verde come la si può immaginare, ma non è neppure una città tutta di cemento. C’è uno strano equilibrio tra gli elementi anche se, spesso, mi viene da pensare che la presenza di alberature sia davvero ridotta al minimo.
Ci imbattiamo anche in un volantino per studenti che spiega come approcciare un norvegese per diventargli amico, lo ha realizzato l’Università di Oslo. Ci strappa un sorriso.
La città, comunque, si caratterizza per un mix di edifici che richiamano palesemente il dopoguerra, poche strutture ottocentesche (da questo lato della città) e tanta modernità. Si fa tanto uso di materiali nobili, vetro e acciaio, forme minimali, razionalità e il tutto aiuta a sentirsi in un ambiente armonico.
Non è una città che si direbbe “bella da vedere“, ma sicuramente “ben progettata” da vivere, si.
Hovedøya
I traghetti sono silenziosi, lo avreste mai detto?
Attraccano, lasciano scendere i passeggeri, caricano gli altri e ripartono. Non c’è puzza di combustibile, nè il fumo nero dei motori diesel. Le barche sono elettriche. Tutto (o quasi) è elettrico.
E’ bello, non c’è alcuna puzza, non c’è rumore fastidioso.
Facciamo i biglietti, rigorosamente via App. Ci imbarchiamo e in circa 15 minuti di navigazione tranquillissima approdiamo ad Hovedoya. L’isola è proprio avanti alla città.
Qui, incamminandoci su un sentierino, raggiungiamo l’attrazione principale del luogo: i ruderi di un monastero medievale, il più antico di Norvegia.
L’Abbazia Circestense di Hovedoya
Pare che la storia di questa abbazia risalga all’anno 1000. Fondata da monaci anglosassoni, era dedicata alla Vergine Maria e a Santo Edmondo. Pare che la chiesa fosse costruita in stile romanico, mentre il resto degli edifici fosse in stile gotico.
Fu una delle realtà monastiche principali della Norvegia, sia per influenza che per ricchezza.
Con le guerre di successione al trono di Danimarca e Norvegia si ebbe anche il declino di questo luogo sacro. Durante le guerre il re Cristiano II provò a riconquistare Oslo e la fortezza Akershus, ma fallì ben due volte.
Infine, l’abbazia fu depredata e incendiata da milizie danesi nel 1532 circa.
Solo tra gli anni 1930 e 1938 iniziarono gli scavi e le attività di restauro dei ruderi dell’abbazia che oggi possiamo visitare.
Passeggiando tra i resti dell’abbazia si possono scoprire le strutture di un tempo, anche se gran parte delle pareti sono diroccate. Resta una piccola torre che circondata dagli alberi regala un piccolo suggestivo quadro antico.
Un’isola dove regna la natura
Nonostante l’abbazia, l’isola di Hovedoya è una immersione nella natura. Immagino che durante i mesi estivi, quelli di alta stagione turistica, non sia poi così immacolata e silenziosa, ma durante la nostra escursione abbiamo potuto lasciarci cullare dalla risacca, dallo starnazzare delle oche selvatiche, dal cinguettio continuo di piccoli passeriformi e dal vento che scivolava tra le foglie dei tantissimi alberi.
Lungo i sentieri, che tra l’altro consentono di percorrere l’intera circonferenza dell’isoletta, ci sono tanti segnali e piccoli fili di confine che indicano dove è richiesto il massimo rispetto dell’ambiente agli avventori. Qui, pare, ci siano alcune specie vegetali uniche in Norvegia ed è nostro dovere proteggerle e rispettarle.
Sull’isola, comunque ci sono segni di forte antropizzazione.
In tempi ormai remoti c’erano alcune batterie di cannoni poste a difesa della capitale (ed oggi ci sono i resti lasciati al piacere dei curiosi), così come bagni e struttura ricettive.
C’è anche un porto turistico dove tanti cittadini hanno le barche a dimora per sfruttarle durante le ferie.
Il giro, immersi nella pace dei sensi, ci ha impegnato per qualche ora. Siamo poi tornati al molo e ripreso il traghetto abbiamo fatto ritorno a Oslo città.
Edvard Munch: il Museo
Oslo è la città che ha dato i natali a Henrik Ibens (c’è un museo-teatro dedicato anche a lui, non distante dal Palazzo Reale, noi per mancanza di tempo non abbiamo potuto visitarlo. Tra le sue opere più famose troviamo Casa di Bambola) e ad un altro grande artista, Edvard Munch.
Munch è noto al mondo per la sua opera: l’Urlo.
Abbiamo deciso di immergerci nel mondo dell’artista e abbiamo prenotato la visita al Munch Museum. E’ facilmente raggiungibile, lo si trova a pochi passi dalla Stazione di Oslo e dal Teatro dell’Opera di Oslo. Affacciato sul mare, si palesa subito come un altro lavoro d’ingegneria ed architettura moderna: vetro, metallo, riflessi e luci naturali.
Entrando si nota subito l’ordine che vige in questo luogo, ma dobbiamo anche sottolineare le cose negative: si è obbligati a lasciare, giustamente, zaini e borse prima di entrare.
Se solo gli armadietti in cui riporli fossero funzionanti: alcuni non si possono chiudere in alcun modo, bisognerebbe lasciare i propri beni alla mercè di chiunque!
Un’esperienza suggestiva
Di Munch, probabilmente, sappiamo davvero poco. Non è uno di quegli artisti che tutti studiano con curiosità approfondendone vita morte e miracoli. Si conosce la usa opera principale (che tra l’altro è stata realizzata in sei versioni, di cui tre sono al Museo) e poco altro.
Ed è qui che esplode la meraviglia!
Le sue opere sono vibranti, colpiscono l’anima con violenza. L’uso di colori forti, le pelli verdi, gli occhi sgranati gialli, i capelli rosso fuoco, le forme tozze dei corpi, gli sguardi assenti e pallidi, tutto racconta la sua visione del mondo.
I colori rappresentano gli umori, le anime, i pensieri.
Alcuni dei dipinti esposti davvero sorprendono.
Nell’area dedicata al tema “morte”, ad esempio, mi ha folgorato un quadro. Parete rossa, su di essa il dipinto dalle tinte blu dominanti. L’arancio del vestito di un fanciullo, terrorizzato vicino al letto della madre morta (bianca e pallida), strappa la retina.
Nudi, se stesso, l’urlo
Anche la sezione dedicata ai ritratti, reali o immaginati, è bella. Colorata, brillante, consente di godere di quelli che sono ritratti commissionati o fatti per puro piacere da Munch. Subito dopo si passa ai nudi, altra sezione dove domina il rosa, il giallo, il rosso delle labbra. Corpi di donne che mostrano la loro semplicità nello star fermi.
Uno spazio è dedicato a Munch ed al suo rapporto con se stesso: ritratti, autoritratti, fotografie e i primi selfie. Si racconta la visione di se stesso, invecchiare, decadere. Bello, intenso. Ancora una volta cambiano le tinte: blu, gialli, verdi accesi. Ambienti domestici, la quotidianità si fa arte.
E poi non si può non restare a bocca aperta – appunto! – quando si vede l’Urlo.
L’Urlo è bellissimo.
Non vi dirò altro. Va visto dal vivo. Ti strappa gli occhi, e li fa suoi.
Death Metal e Munch
Ultimo piano, dopo aver passeggiato in una finta casa di Edvard Munch dove si può interagire con i vari oggetti ritrovati dopo la sua morte, entriamo in una sala senza luci. Sulle pareti dei quadri di Munch rivisitati, animati, più cupi. E sotto scorre un brano realizzato dalla band death metal Satyricon. Attimi di sorpresa, attimi di piacere. Esperienza singolare, meravigliosa.
Il Parco di Vigeland
Lasciato il Munch Museum, puntiamo ad una delle attrazioni artistiche a cielo aperto di Oslo: il Parco delle Sculture di Gustav Vigeland.
Bisogna raggiungere il parco più grande, il Frognerparken, al cui interno è possibile visitare questa strana e suggestiva esposizione scultorea dell’autore norvegese Vigeland.
Un elemento caratteristico di questa esposizione è il materiale utilizzato: spesso bronzo, in richiamo delle epoche vichinghe.
Sul ponte, che è l’ingresso principale all’esposizione, l’autore posizionò 58 statue in bronzo. Rappresentano scene della vita di uomini e donne, bambini e anziani.
Passaggio successivo è la fontana, quadrata e imponente intorno alla quale ci sono più di venti statue a forma d’albero sempre in bronzo. Ancora una volta appaiono bambini e figure umane più anziane che si aggrappano ai rami rappresentando le diverse fasi della vita.
La terrazza, invece, custodisce un monolite e tante statue di pietra.
La colonna ha un’altezza di 17 metri, con su oltre 120 figure umane intrecciate. Il monolite è scolpito in un unico blocco di granito.
Tutta l’opera è una narrazione del ciclo della vita.
Oslo: dove mangiare?
Mangiare ad Oslo non è per forza super costoso. Esistono un paio di luoghi dove si può pranzare/cenare spendendo meno di 500 Kr., stando intorno a 290 Kr.
I luoghi che abbiamo provato, e dove ci siamo divertiti, sono:
Questi due mercati, che in realtà sono piccoli centri in cui assaggiare pietanze dal mondo (tarate sul gusto norvegese) offrono una scelta ampia di prodotti a prezzi interessanti.
Il primo, Oslo Street Food, è situato nei pressi del centro città. Frequentato da una moltitudine di giovani, propone piatti etnici e birre/sidro locale. C’è da curiosare e divertirsi nello scegliere tra piatti esotici, simil-italiani o ispanici e le immancabili alette di pollo (tra l’altro, buonissime).
Qui il pranzo mi è costato circa 300 kr.: sidro alla spina da bere, alette di pollo fritte (marinate in mango e frutti tropicali) accompagnate da copiose patate fritte e salsa a parmigiano ed aglio.
Al Mathallen Oslo, situato nei pressi del quartiere Damstredet, tra uffici moderni e un parco fluviale, l’atmosfera è più simile ad un mercato coperto.
Tra shop e botteghe con cucina ci si può divertire a spaziare tra prodotti ispanici (e sono spagnoli davvero i proprietari) – ma non hanno il sapore della cucina iberica – italiani, francesi, cinesi, thai ecc.
La scelta e ampia e l’ambiente super accogliente. Meno hipster dell’altro, ha una proposta varia a prezzi simili.
Con circa 250 Kr. ho pranzato con del pulled-chicken, alette di pollo piccanti, coscia croccante e insalata di cavoli e patate. Da bere solo acqua.
Si torna a casa
Il viaggio termina qui, stanchi (abbiamo camminato tantissimo) e felici ci rimettiamo in treno per raggiungere l’aeroporto e da li Milano.
Ritorneremo in Norvegia? Probabilmente, o per far tappa a Capo Nord o per l’Aurora Boreale… chissà!