Il vento, profumato di salsedine, scivola tra le verdi foglie di piante di mirto. C’è il cinguettio degli abitanti più vivaci del bosco a scrivere la colonna sonora di una giornata baciata dal sole. L’immenso blu del Mar Mediterraneo riempie lo sguardo, da un lato senza confini, dall’altro carico di sfumature cobalto, d’azzurro brillante, segnato dal passaggio di barche a vela tinte di bianco. E poi c’è, li, in fondo l’intera città di Palermo.
Siamo sul Monte Gallo, che domina Mondello e Punta Barcarello. Siamo al faro noto come Semaforo dell’Eremita.
La Riserva di Capo Gallo
Palermo, città ricca di storia, d’arte, di particolarità gastronomiche, è un luogo da scoprire, pian piano. Tante, tantissime cose rapiscono il turista, il visitatore, il cittadino. Mai troppe, ma tantissime si.
Però, quando si pensa a Palermo, difficilmente si pensa alla natura. Eppure c’è anche un certo fascino nel perdersi nelle riserve naturali cittadine e nella bellezza che custodiscono. Una di esse è la Riserva di Capo Gallo.
A pochi passi dal famoso lungomare di Mondello, la Riserva di Capo Gallo custodisce un tesoro poco noto: oltre alla natura, alla flora ed alla fauna locali, al faro/semaforo (di cui vi raccontiamo in questo articolo), in questo fazzoletto di terra sono presenti grotte nelle quali furono rinvenuti iscrizioni e disegni databili intorno ai secoli VII A.C. e II D.C.
Nelle acque, invece, ai piedi del monte fu rinvenuta una nave cartaginese ancora carica di anfore.
Sempre nella Riserva di Capo Gallo furono rivenuti vari resti fossili, tra cui bisogna doverosamente citare l’Elefante Nano, creatura estinta ma diffusa in Sicilia e in qualche altra isola del Mediterraneo.
Il Semaforo dell’Eremita
La salita al Semaforo dell’Eremita, nel cuore della Riserva di Capo Gallo, è una passeggiata davvero particolare. Si lascia la città, e in pochi attimi ci si ritrova in un angolo che sa di incontaminato.
L’edificio si fa subito notare, già da lontano: solitario, quieto, si erge sulla vetta del monte Gallo. Era, in epoca borbonica, un faro di segnalazione, ma nel tempo s’è trasformato ed ha assunto un’identità completamente diversa: l’arte ne ha riscritto l’identità, rendendolo un edificio “religioso“ (il virgolettato è di dovere).
Il sentiero per il Semaforo dell’Eremita
Per raggiungere il faro bisogna percorrere un sentiero immerso nella natura, ma che regala anche scenari piuttosto singolari che non sempre fanno onore alla storia della città di Palermo. Ne parleremo tra poco.
Per raggiungere il sentiero bisogna recarsi all’incrocio tra via Grotte di Partanna e via del Semaforo (nella zona Partanna). Non è affatto difficile arrivarvi, ma non aspettatevi che il sentiero sia segnalato in modo chiaro ed evidente.
L’ascesa al Monte Gallo
Il sentiero inizia su strada asfaltata e già dopo pochi passi inizia a farsi apprezzare per la notevole pendenza. Non c’è, almeno in questo primo tratto, tanta vegetazione a fare da ombrello parasole, quindi consigliamo di indossare un cappellino.
L’ascesa prosegue con alla destra ed alla sinistra campi d’olivi, qualche abitazione e un silenzio assordante.
Pizzo Sella
Dopo il primo tratto di asfalto il sentiero inizia a diventare ghiaioso, e superato il primo ponticello, ci si ritrova ad inerpicarsi con accanto, sulla sinistra, uno scenario abbastanza sconvolgente: gli edifici di Pizzo Sella.
E’ un’immagine triste, di una Palermo e di un’Italia svilita. Lo sguardo si poggia su edifici di cemento che disegnano le fisionomie della “collina del disonore” – come qualcuno l’ha chiamata. La storia è lunga, complessa, a tratti avvilente e non è questa l’occasione giusta per affrontarla.
Nacque però l’Art Village. Chissà, ve ne parleremo più in là.
Nel 2013 prese il via il progetto Pizzo Sella Art Village, situato nelle cinque villette ancora sotto confisca. Ma rimandiamo ad un articolo dedicato e più approfondito sul tema: Pizzo Sella, la collina del disonore.
Il boschetto di conifere
Man mano che il sentiero scorre sotto le nostre scarpe (consigliate quelle da hiking/trekking), si avvicinano le belle chiome del boschetto di conifere. Ci sono le api che svolazzano beate intorno a noi, mentre le cortecce rosso-marrone si scontrano con il verdi chiazze di sottobosco.
Anche il terreno prende tinte rossastre.
E’ un susseguirsi di tornanti, prima tra la vegetazione – ma sufficientemente ampio da non essere così selvaggio come ci si potrebbe immaginare -, poi s’apre e lascia spazio al panorama.
E’ qui, superato il boschetto, che si può osservare, davvero, Palermo dall’alto. Non si vede ancora il mare, ma la città che da lontano è quieta e silenziosa, si.
Il pianoro e i due sentieri
Ormai si è in dirittura d’arrivo. La parte più pendente del sentiero è alle spalle, e giunti sul pianoro ci si incammina tra fiorellini, erbette, tronchi e una vegetazione inaspettatamente lussureggiante. E’ macchia mediterranea, all’ennesima potenza.
Il vento inizia a farsi sentire, soffia deciso, ma l’aria è fresca e si sta bene. Man mano che si avanza la presenza del Semaforo dell’Eremita si fa evidente. Lo si è potuto già scorgere, qualche volta, per qualche attimo, lungo il sentiero, ma adesso è lì, a pochi passi, in un vedo-non vedo tra le fronde degli alberi.
Si incontra una biforcazione, sulla sinistra si apre il breve sentiero in terra battuta che ci porterà a destinazione.
Quello a destra lo raggiungeremo a ritorno.
Passeggiamo, l’aria è rilassata. Silenzio, anzi no, canti d’uccello. D’un tratto il blu. E’ il mare, immenso, che si fonde col cielo.
Una roccia a strapiombo, in fondo le onde leggere si infrangono sugli scogli. Come durante un viaggio in Corsica, sembra che qualcuno abbia aumentato la saturazione. Tutto vibra, gli occhi avvampano di gioia.
Il panorama è molto rilassante, e lo sguardo si perde nelle tinte azzurre di cielo e mare. Poi, voltando leggermente lo sguardo il faro è li, a due passi. Puntiamo dritti alla meta.
Il Semaforo dell’Eremita: l’arte e la suggestione
Ultimi piccoli tornati tra le rocce, il Semaforo dell’Eremita è silenzioso. Vive in una sua dimensione senza tempo.
Dall’epoca borbonica domina il monte, accarezzato, sferzato, abbracciato o ignorato dal vento. Ha cambiato aspetto, identità, ma mai la sua forma. E’ un edificio semplice, con linee nette. C’è il corpo principale, un cubo. C’è una camera posteriore collegata al corpo principale, una stanza distanziata (oggi offertorio) e qualche parete semidiroccata.
Ma ci sono anche decori, mosaici, frasi e messaggi che il “padrone di casa” ha composto con vetro e cocci. E’ una forma d’arte sacra, eppur profana.
Giriamo intorno all’edificio, sulla terrazza antistante l’ingresso principale troviamo ristoro e sorseggiamo un po’ d’acqua. Il caldo ha iniziato a farsi sentire soprattutto negli ultimi tornanti.
Ancora silenzio, incontriamo qualche altro escursionista e qualche coraggioso che s’è inerpicato in MTB (e la salita, sulla breccia, si fa sentire sulle due ruote). Ci perdiamo tra i decori, ma non possiamo apprezzare gli interni perchè le porte sono serrate. Che l’eremita non ci sia? O, forse, è dentro e sta riposando? Non lo sappiamo, e purtroppo non potremo scoprire gli interni dell’eremo che fu un faro.
L’atmosfera è comunque suggestiva, a differenza di altri luoghi sacri persi nei monti non si respira sacralità, non si percepisce una strana sensazione di soggezione (la piccolezza dell’uomo dinanzi al divino). Cresce la curiosità, ma il sapere che li, dietro quelle porte chiuse c’è altro, ancora in evoluzione, dona al luogo un senso di contemporaneità che ne riduce il fascino storico. La sua bellezza è, infatti, altra. E’ una rinascita, un qualcosa che domani sarà storia, che farà sentire piccoli, dinanzi a Dio, altre generazioni. E’ bello, percettibile, ma destinato a creare la pelle d’oca in là nel tempo.
Panorama su Mondello e l’Addaura
Lasciandoci alle spalle il faro con i suoi decori, un po’ delusi dal non aver potuto ammirare gli interni e di non aver incontrato l’eremita, ci dirigiamo nuovamente verso l’inizio del sentierino in terra battuta.
Qui, stavolta, voltiamo a sinistra (proseguire diritto se si proviene dal sentiero in salita) e passeggiamo tra la natura fino a voltare a destra, su un percorso che punta verso il basso.
In fondo c’è Mondello, si perde lo sguardo tra il blu del mare, l’Addaura e la città. C’è, nello sguardo uno strano contrasto: il mare, la spensieratezza della spiaggia, i monti verdi tinti dal sole e il cemento dello Zen. La città si fonde in quartieri e realtà diverse, così vicine, eppure così lontane.
Ci fermiamo ammaliati dal panorama. Consumiamo un pasto frugale, respirando a pieni polmoni l’aria del mare trasportata dal vento. Il sole ci scalda. In un attimo siamo a Palermo, ma persi in una dimensione alternativa. Non ci sono auto, non c’è rumore del traffico, non c’è l’aria arroventata dall’asfalto. Ci sono api, fiori, ginestre, mirto, profumo di terra, gli occhi si bagnano nel blu e nel verde, la serenità fa da coperta.
Sazi di tanta bellezza, ci rimettiamo sui nostri passi.
Lungo la strada del ritorno a valle incontriamo altri avventori che puntano al Semaforo dell’Eremita. C’è un via vai di escursionisti interessante: inizia a diffondersi la voglia di scoprire una città diversa!
Siamo felici, una passeggiata in città, ma in piena natura. Qualcosa di bello, un’esperienza da fare, sia se si è palermitani, sia se si è turisti nella città rosa-nero.