Pendici rocciose, inframmezzate da fiori di campo ed erbe spontanee, scivolano verso il mare. Roccia viva che si scontra con un cielo azzurro.
E’ il Monte Erice che si alza verso il cielo e domina la valle omonima.
Trapani ad ovest vive dei suoi trambusti e si lascia invadere al profumo del sale, ad est San Vito lo Capo sonnecchia in una primavera che tarda ad arrivare ed il blu del Mediterraneo riempie lo sguardo di chi si inerpica per i tornanti.
“De l’ombroso pelasgo Èrice in vetta
eterna ride ivi Afrodite e impera,
e freme tutt’ amor la benedetta
da lei costiera.”Giosuè Carducci
Erice, l’eredità di Afrodite
Ci si perde nelle contrade dell’Italia Meridionale, in ogni dove ci si imbatte in un racconto antico, in una storia che risale alle epoche più remote. Ancora una volta ci si ritrova, anche ad Erice, in un viaggio che prende il via in Magna Grecia (se non l’avete già fatto, vi suggeriamo di leggere l’articolo dedicato ai Templi di Paestum).
L’eredità di Afrodite
Luoghi antichi, dove ancora oggi si respira un profumo d’antico. Le origini del nome Erice sono da ricercarsi nei meandri della storia, ancor più nei miti dell’antica Magna Grecia.
Qui, si narra nelle opere di Virgilio, visse il gigante Erix (Eryx), figlio di Afrodite, che fu ucciso da Ercole.
Tucidide, invece, racconta delle origini troiane di Erice. Come sia andata perfettamente la storia, purtroppo, non è dato sapere ma di certo possiamo affermare che qui visse il popolo degli Elimi (che secondo alcuni storici antichi discendeva direttamente dai profughi di Troia).
Cronache antiche raccontano che Enea, naufrago nel Mediterraneo, volle dare sepoltura al corpo del padre Anchise in questi luoghi, proprio sulla vetta di questo monte. Scelse Erice per far si che Anchise riposasse più vicino alle stelle e qui fondò un tempio in onore della madre, Afrodite.
Si ebbe, pare, una prima fortificazione della cittadina costruita sulla vetta del monte da parte dei Cartaginesi, guidati da Amilcare Barca, che trasferì poi alcuni ericini a valle e fondò la città di Drepanon (Trapani).
Con la conquista da parte dei Romani, Erice divenne luogo sacro, e qui si venerava la Venere Ericina (una figura estremamente rassomigliante ad Afrodite).
Come tutti i culti antichi, l’uno è sempre un’evoluzione del precedente e più antico: i popoli fenici veneravano qui Astarte, i cartaginesi adorarono Tanit, i pelasgi veneravano Afrodite ed infine i romani elessero a dea la Venere Ericina.
Dai mori agli spagnoli
Sud, terra di conquista per i più disparati popoli.
Tra Normanni e Saraceni il borgo di Erice vide prosperità. La cittadina fu sempre abitata, e sotto la dominazione araba Erice vide anche crescere la propria influenza economica e politica. Furono edificati nuovi edifici, civili e religiosi, arrivando a dominare un territorio abbastanza vasto: da Trapani a San Vito lo Capo, fino a Castellammare del Golfo.
Il periodo spagnolo, intorno al 1500, la città di Erice fu interessata da molti, forse troppi, tumulti. Diverse furono le occasioni in cui sangue fu copiosamente versato per le strade. Si arrivò perfino a scegliere, da parte della Corona Spagnola, di vendere la città.
Erice si riscatta, le famiglie nobili del luogo prosperano così come la vita monastica e religiosa che attrae sempre più pellegrini. Con le entrate e il potere, conservato per 700 anni, le famiglie nobili del luogo lavorano per migliorare l’urbanistica del luogo.
Oggi, infatti, abbiamo la fortuna di poter passeggiare per le strade di un borgo incantevole, dalla chiara architettura medievale.
Una giornata ad Erice
Ultimi giorni d’inverno, un timido sole fa capolino tra le nuvole che avvolgono una Palermo insolitamente fredda.
S’accende il motore dell’auto e puntiamo in direzione ovest: destinazione Erice.
E’ un viaggio in autostrada di circa 1h e 30min. Il panorama, lungo la strada, è incantevole. Sulla destra si tiene il mare, sempre azzurro e brillante, sulla destra colline e una vegetazione verde che saluta il prossimo arrivo della primavera. All’altezza di Castellammare del Golfo salutiamo il blu del mare e ci muoviamo tra le viti. Siamo vicini ad Alcamo, nei dintorni si potrebbe fare tappa al tempio di Segesta, ma noi tiriamo dritto.
Da lontano si nota subito la cittadina arroccata sul Monte Erice. Mentre ci si arrampica sui tornanti, con il motore che sornione macina chilometri, lo sguardo spazia su un panorama incantevole. Ai lati della strada fiori colorati fanno “ciao” con corolle splendenti, gli ulivi argentati disegnano i contorni di un panorama blu Mediterraneo. Poi il Monte Cofano e infine, proprio sotto di noi, la tonnara di Bonagia.
Un luogo d’incanto
Man mano che l’altitudine aumenta, la pendenza della strada si riduce. Ogni tanto intravediamo i segnali di sentieri CAI e, dopo aver attraversato un boschetto verdissimo, ci ritroviamo alle porte di Erice antica. Un colpo d’occhio incantevole, fin da subito.
La città è vetusta, medievale, bianca.
Lasciamo l’auto al parcheggio, controllate solo se siete già nel periodo in cui bisogna pagare il ticket.
Superiamo Porta Trapani, che come dice il nome stesso si rivolge ad ovest, dove sulle rive del mare sorge la città capoluogo.
Il silenzio è il vero padrone, tutto tace. L’assenza di suoni è suggestiva. Antiche dimore, una strada ciottolosa, mura bianche, silenzio profondissimo.
Ci incamminiamo e, subito sulla destra, entriamo in un vicoletto che ci porta al Duomo di Erice.
Lo si riconosce subito: la chiesa è bellissima, in pietra, semplicissima nell’esterno – scopriremo poi la meraviglia degli interni – e proprio di fronte troviamo la torre campanaria. Il Duomo dell’Assunta ci apre le porte.
Il Duomo dell’Assunta
Come chiamare il Duomo di Erice? Duomo dell’Assunta non è il nome che gli appartiene. La chiesa è dedicata a Maria Assunta, ma il Duomo di Erice è noto come Real Chiesa Madrice Insigne Colleggiata.
Paghiamo il biglietto d’ingresso, comprendente sia la visita al Duomo che la salita sulla torre campanaria e varchiamo le porte d’ingresso.
Come la storia ci insegna, dove sorgono i monumenti alla fede cattolica (altro esempio è quello legato alla dea Cibele, in Irpinia, a Montevergine), precedentemente sorgevano templi. Qui, infatti, pare sorgesse in antichità il tempio alla Venere Ericina.
Con l’avvento della cristianità il tempio fu abbattuto ed al suo posto sorse una chiesa. Non c’è prova storica di quanto detto, infatti un’altra teoria vuole che il tempio fosse stato eretto dove oggi sorge il Castello di Venere, mentre la chiesa divenuta poi Duomo nacque distante proprio per allontanare dai vecchi culti i popoli ericini.
Ad Erice soggiornò Federico III d’Aragona. Quando il re lasciò Erice la ricompensò con un dono: la facciata della chiesa fu arricchita ed abbellita (pare utilizzando parti dell’antico tempio di Venere).
Solo nei primi decenni del XIV secolo prendono i lavori che renderanno il Duomo in stile gotico trecentesco. Nello stesso periodo si trasforma anche la Torre del Vespro, nata di carattere militare, in torre campanaria.
Da poco conclusi i lavori, nel 1426, si intervenne nuovamente sulla struttura. Fu eretto il pronao.
In epoca spagnola furono numerosi i rimaneggiamenti estetici della chiesa, secondo canoni architettonici di moda all’epoca.
Nei secoli gli interni del duomo erano cambiati con il cambiare delle mode, i vari rimaneggiamenti avevano probabilmente colpito anche l’aspetto strutturale dell’edificio. Iniziarono, pena interdizione alla fruizione degli ambienti, i lavori di messa in sicurezza e restauro.
I lavori ultimarono anni ed anni dopo, rallentati da crolli e problemi burocratici vari, e la chiesa ne risultò stravolta: possiamo ammirare oggi il risultato di quei lavori.
La cosa che indubbiamente ci colpisce è l’esterno, così semplice, così spagnolo. Il tufo, le forme semplici, il rosone, tutto ricorda l’architettura delle grandi chiese catalane erette anche a Napoli e Palermo.
La torre campanaria
Dopo aver sospirato di meraviglia perdendoci con lo sguardo sugli interni del Duomo, la nostra visita continua con l’ascesa alla torre campanaria.
Apriamo la pesante porta in legno, subito il profumo di vernice per legno ci riempie i polmoni. Alcuni operai stavano ritinteggiando gli scuri e le finestre del campanile.
Le strette scale a chioccola ci portano fino all’ultimo piano.
A ventotto (28) metri d’altezza troviamo le campane e la possibilità di lasciar scorrere lo sguardo tutto intorno, a 360°.
Da qui si perde lo sguardo su San Vito lo Capo, sul Monte Cofano, su Trapani, su Mozia, su Ustica, sullo Stagnone e sulle Saline, su Marsala, e sull’orizzonte appaiono le Egadi.
Per le strade del borgo
Ci lasciamo alle spalle la bellezza del Duomo e i panorami mozzafiato che si ammirano della torre campanaria. Seguiamo le strade del borgo, tra silenzi e antichi palazzi.
Le strade sono rinfrescate da un venticello che soffia costante, dagli usci socchiusi si sente il vociare di chi si prepara a pranzare. L’odore dei fornelli che ribollono inebria l’intero paese.
Raggiungiamo la piazza principale, Piazza della Loggia. Qui affacciano gli uffici del Municipio. Il silenzio accompagna due gatti sovrappeso che si stiracchiano nei pressi del bar. E’ la quiete tipica dei paesini del sud.
Il pranzo!
Inizia a farsi sentire l’appetito, così ci infiliamo in un ristorantino poco distante dalla piazza. Pochi avventori seduti ai tavoli, anche qui la quiete è sovrana. Che fortuna visitare Erice di venerdì!
Ci accomodiamo e gustiamo felici un antipasto fatto di panelle bollenti, leggermente sapide e super saporite.
Accompagniamo con involtini di melanzana cotti al forno, con salsa home made – e si sente tutto il fatto in casa, riportandomi ai profumi ed ai sapori della mia infanzia per le contrade irpine – con basilico e ricotta e ricotta salata. Un piacere incredibile, nella sua semplicità, per il palato.
Seguono poi un cous-cous con la triglia (il trapanese, per chi non lo sapesse, è terra di cous-cous, tanto che a San Vito lo Capo ogni anno si tiene il famosissimo Cous Cous Fest!) e un piatto di busiate con un condimento tipo pesto, realizzato con pomodorini, mandorle, tanto aglio e melanzane, infine a guarnire ed arricchire delle fette di patate fritte (si, patate appena pelate e tagliate, come le faceva la nonna). Tutto delizioso.
Per il dolce decidiamo di conservare uno spazio nello stomaco e rimandiamo al pomeriggio.
Il Castello di Venere
Nel tepore post-prandiale ci incamminiamo verso il castello. La strada sempre silenziosa, con botteghe chiuse o in pausa, visto l’orario.
Passeggiamo e tra palazzi e antiche chiese ci perdiamo nell’incantevole bellezza di Erice. E’ un luogo meravigliosamente curato, pulito, quieto, rasserenante.
Ci troviamo, poi, all’interno di un giardino pubblico e da qui alle porte del primo, dei due, castello di Erice. E’ il Castello del Balio.
Era l’anno 1872 quando, su iniziativa di Agostino Piepoli, si iniziò a ristrutturare e riedificare l’antica struttura della torre pentagonale e la merlatura creando un balcone incantevole su Trapani, le saline, le Egadi, sul Monte Cofano e sulla Riserva Naturale dello Zingaro.
Qui sorgeva il castello normanno di Erice, chiamato poi anche Castello di Venere. E’ un po’ il simbolo della cittadina. La prima struttura che si incontra è una torre, la Torre (o castello) del Balio, che si collegava al Castello di Venere con un ponte elevatoio.
Le strutture del Castello di Venere e del Castello del Balio sono chiuse, purtroppo. Comprendiamo il periodo di basso afflusso turistico, le finanze sempre risicate dei piccoli comuni, ma certi luoghi meravigliosi meriterebbero di essere pronti ad accogliere anche un solo turista occasionale. E’ questa la ricchezza delle nostre provincie, investiamoci!
Anche solo esternamente si resta incantati dalla bellezza di questi luoghi, ancor di più soffermandosi a godere dei panorami mozzafiato. E’ tutto un incanto. Ora capisco perchè Enea volle costruire, per sua madre Afrodite, un tempio proprio qui.
E un dolce a deliziare il palato?
Oltre a deliziarci lo sguardo, con le bellezze che regalano i luoghi di Erice, c’è venuta voglia di deliziare anche il palato! Ad Erice c’è, si sa, una importante pasticceria della Sicilia: la Pasticceria Maria Grammatico. Dobbiamo assolutamente farvi tappa!
Torniamo verso il centro del borgo, entriamo e subito ci rapisce il profumo… difficile da spiegare, ma è il profumo di quelle pasticcerie di una volta, quelle che profuma proprio di dolci della domenica, di miele, di mandorle, di pasticceria, ecco!
La vetrina è ricchissima di cose deliziose, le proviamo tutte!
Proviamo subito la genovese, una pasta frolla ripiena di crema al latte e avvolta dallo zucchero a velo: è buonissima e delicatissima.
Non ci facciamo mancare le palline di pasta di mandorle, i sospiri, i dolcetti al liquore (che sono paste di mandorle con dentro il liquore, ma che meraviglia!), i bocconcini e i cuscinetti. Accompagniamo il tutto con una fetta di crostata alla ricotta e un qualcosa di delizioso: la tortina paradiso. Questa è da provare in senso assoluto, qualcosa di sublime per il mio palato!
Dopo aver toccato il cielo con un dito, anzi, con lo zucchero, notiamo le nuvole ammassarsi. Sembra verrà a piovere!
Felici di aver trascorso una giornata bellissima, ci incamminiamo verso l’auto e poi, acceso il motore, puntiamo verso Palermo.
Erice, così bella, così pulita, così curata, così antica è stata una scoperta meravigliosa!