Uno dei prodotti gastronomici più interessanti del panorama palermitano (e siciliano) è il famoso – e spesso poco compreso – panino con la milza: Pani ca’ Meusa!
Caldo, profumato, dal sapore chiaro e deciso è uno di quei cibi che, in occasione di un viaggio in Sicilia – e a Palermo – va assaggiato senza titubanze. Potrà piacere o meno, ma è un’esperienza che ogni curioso (ed ogni goloso) dovrebbe fare.
Pani ca’ Meusa
Prima di andare alla scoperta dei migliori panini con la milza di Palermo andiamo a scoprire cos’è, in realtà, il famoso pani ca’ meusa. Scopriamone la storia, come si fa e – soprattutto – qualche altra curiosità!
La storia del pani ca’ meusa
Il panino con la milza trova le sue radici in un passato assai remoto. Convenzionalmente la nascita delle vastedde ca’ meusa si colloca temporalmente nel Medioevo (vastedda è un termine dialettale siciliano adottato per indicare una forma di pane tipica di Palermo, Catania e Siracusa, generalmente dal peso dai 500gr ai 1500gr).
La ricetta di questa leccornia è da attribuire alla tradizione ebraica, ed infatti in quel periodo a Palermo risiedeva una comunità ebraica piuttosto popolosa. Come la storia insegna molte attività commerciali/artigianali erano di quasi esclusiva competenza degli ebrei – la religione cattolica, ad esempio, proibiva il prestito di danaro ed il commercio delle stoffe usate – e nei mattatoi cittadini molti impiegati avevano origini giudaiche. Questi lavoratori, nonostante fossero eccellenti macellai, non percepivano pagamento in moneta per i servigi prestati e la paga consisteva, dunque, in pezzi di carne. Loro spettava, sovente, la parte riguardante il quinto quarto o le interiora. Nacque così l’attività di lavorazione delle frattaglie per essere rivendute ai cristiani (chiamati gentili) per far reddito.
Sul finire del ‘400, e con l’apertura del nuovo secolo, Ferdinando II D’Aragona decise di cacciare dalla città di Palermo le comunità ebraiche. Così l’attività di cottura e vendita delle frattaglie, inserite nel pane ed accompagnate da formaggio passò nelle mani di altri imprenditori. Iniziarono a vendere la vastedda ca’ meusa i caciuttari – venditori ambilanti di pane inzuppato nello strutto e formaggio.
Schietta o maritata?
Il pani ca’ meusa, nata come pietanza da strada, povera e figlia della necessità, divenne un prodotto interessante per la cittadinanza quando, con l’avvento di una nuova forma di ristorazione: la focacceria, evolvette: la vuole schietta o maritata?
La tradizione vuole questa duplice versione del pani ca’ meusa: schietta, solo milza, polmone e scannaruzzato (la scannatura: le cartilagini della trachea), strutto, sale e una spruzzata di limone; maritata, invece con milza, polmone e scannaruzzato, strutto e una spolverata di sale, ma a ricordare il velo della sposa – da qui il nome – una pioggia di caciocavallo o ricotta secca.
Ricetta del pani ca’ meusa
La ricetta del pani ca’ meusa è molto semplice, ma anche molto ricca.
Gli ingredienti fondamentali sono:
- Milza
- Polmone
- Trachea
- Strutto
- Pane
- Sale
- Limone/Caciocavallo – a seconda che sia schietta o maritata
Dopo aver bollito le interiora per privarle dei grumi di sangue e delle impurità, bisogna sciogliere lo strutto in un tegame caldo. Quando sarà liquido e bollente le interiora vanno fatte saltare nel grasso. Il panino va aperto, al suo interno, sulla mollica si adagiano le interiora calde e si scola il grasso in eccesso.
Salare leggermente, aggiungere poi una spruzzata di limone se lo si desidera schietto, o caciocavallo/ricotta secca se lo si desidera maritato.
I migliori pani ca' meusa di Palermo
Pani ca’ meusa – Porta Carbone
A pochi passi dal mare, in via Cala 62, si trova Pani ca’ meusa – Porta Carbone. Piccolo esercizio che affaccia sul porto turistico di Palermo, offre una scelta contenuta di prodotti della tradizione: pane con la milza e pane e panelle (anche con le crocchè).
Poco ma buono!
Equilibrio e gusto sono i due elementi base degli assaggi dei due panini. Golosità, nessun eccesso di unto, una bocca che resta sempre pulita e leggera ci hanno regalato due pasti estremamente soddisfacenti. Consigliato ad occhi chiusi.
Abbiamo assaggiato entrambe le versioni del pani ca’ meusa: la schietta (con muffoletta) e la maritata (con mezza mafalda).
Mafalda ca’ meusa maritata
Croccante la crosticina della mezza mafalda, che al morso lascia alzarsi una leggera nuvoletta di bricioline. Mentre le labbra cingono il pane, la succosità della milza, accompagnata dalla rotonda sapidità del caciocavallo, avvolge le papille gustative. Un morso pieno di gusto, con tanta rotondità nel sapore. Equilibratissimo il senso di rustico del pane, con i suoi semini di sesamo, che si sposa alla perfezione con l’unto leggero della milza, e il grasso sapido del formaggio.
Goloso! Appetitoso, promosso ed ampiamente oltre la sufficienza.
Muffoletta ca’ meusa schietta
Soffice sotto i polpastrelli, la muffoletta si morde col sorriso. Si affonda di gusto nella mollica e si incontra, facile, la milza succosa. Un pane con evidente tendenza dolce, inumidito dallo strutto e dal succo di limone appena spremuto che si fonde a meraviglia con il sale e la morbidezza della milza. Non c’è unto che impasta la bocca. Tutti i sapori sono netti, chiari e decisi: il limone bilancia la leggera untuosità dello strutto, il pane assorbe la forza della milza.
Non è mai spigoloso, è un panino meno barocco della sua controparte maritata.
Superiamo la sufficienza di tanto.
Nino u Ballerino (Popular Street Food)
La notte è giovane, da Nino u Ballerino. Lungo Corso Camillo Finocchiaro Aprile, tra vetrine ed esercizi commerciali d’ogni tipo, ai numeri 76/78 vi aspetta lui, in divisa nera, con la sua squadra dietro al bancone.
E’ uno dei locali più noti della città, un mix di folklore (per via delle movenze da “danzatore” di Nino mentre prepara il pane con la milza) e tradizione.
L’offerta è ampia: dal classico pani ca’ meusa, alla friggitoria, passando per i tipici pezzi palermitani, panini di vario genere, pizze e prodotti di gastronomia.
Golosità e succulenza caratterizzano gli assaggi che abbiamo fatto. Non resta untuosità sul palato, ma la persistenza del gusto è lunga, molto lunga. Ci siamo divertiti e abbiamo apprezzato: da provare assolutamente.
Abbiamo assaggiato entrambe le versioni del pani ca’ meusa: la schietta e la maritata.
Pani ca’ meusa maritata
La mafalda ha un tocco rustico, la muffoletta è saporita.
Tra i due tipi di pane abbiamo preferito all’unisono la versione con muffoletta. Decisamente più piacevole – complice, forse, una mafalda non proprio freschissima – la versione con la pagnottella morbida. Il sapore del pane da una spinta in più, ma la milza, tagliata sottilissima, accompagnata da polmone e trachea è davvero saporita.
La bocca si riempie di sapore.
La versione maritata è offerta in due versioni: con ricotta fresca e caciocavallo o solo con caciocavallo. La versione con ricotta è abbastanza delicata – la dolcezza di quest’ultima stempera il forte gusto del caciocavallo. Non resta unto in bocca, nessun sapore sovrasta l’altro, i sentori di sapidità chiamano un sorso di birra e un morso ancora.
Pani ca’ meusa schietta
Si ripete la preferenza per la versione con muffoletta. Un peccato che la mafalda non sia troppo fresca, avrebbe contribuito a dare ancor più un giudizio positivo.
Il pane è morbido, leggermente aromatico (per la muffoletta). I semini di sesamo fanno la differenza. Lo strutto inumidisce la mollica, e lo fa nel modo giusto: c’è, lo si sente, profuma, riempie le papille gustative. La milza è ottima, morbida, succulenta. Il sale si fa percepire, ma il limone stempera e tutto si miscela restando comunque in equilibrio. Non si saliva eccessivamente, non resta grassa la bocca. Un morso chiama l’altro.
‘Nni Franco U’Vastiddaru
Uno dei locali più conosciuti di Palermo, c’è sempre la fila e affacciato sulla fontana del Garraffo riempie l’aria intorno a se con il profumo dei piatti tradizionali: pani ca’ meusa, pane e panelle, il crostino, le arancine, ma anche panini di vario tipo e pietanze cucinate per essere servite a tavola. ‘Nni Franco U’Vastiddaru è un po’ una prima tappa per chi visita Palermo.
Da via Vittorio Emanuele, seduti in piazzetta ai tavolini, si gode dell’aria festosa della città e fatti pochi passi ci si può lasciare andare allo sciabordio delle onde nel porticciolo della Cala o passeggiare verso il Foro italico.
Pani ca’ meusa schietta
Di panini con la milza, da Franco U’Vastiddaru, ne ho provati svariati. Qui il pane è sempre la muffoletta (la pagnotta morbida), sia che lo si voglia schietto, sia che lo si preferisca maritato.
In questo ultimo assaggio fatto, per rinfrescare la memoria gustativa, ho optato per la versione schietta. Il pane è sempre morbido, con una leggerissima tendenza dolce e i semini di sesamo incidono con quel tocco aromatico e leggermente amaro. La milza, accompagnata dal limone, è buona.
Non unto, anzi probabilmente poco unto, il gusto della milza è molto deciso.
E’ capitato, in altre occasioni, invece, un panino con la milza più umida, succulenta e ricca nel ventaglio di sapori (donati anche dallo strutto). L’ho preferito, in realtà, quando più unto e umido: dona una piacevolezza maggiore durante la masticazione e offre un ventaglio di sapori più articolato e complesso.
Un pani ca’ meusa piacevole, non ti fa innamorare, ma ti accompagna piacevolmente durante una bella passeggiata vista mare.
Fratelli Di Giovanni
Ci allontaniamo dal centro storico di Palermo. Lungo via Leonardo Da Vinci ci si imbatte in uno dei locali dei Fratelli Di Giovanni. Veranda, qualche lucina colorata, tanta semplicità e qual profumo che ricorda i cibi popolari palermitani. Appena si fa accesso al locale, subito si nota la pentolaccia in cui sobbolle lo strutto e una sfilza di muffolette con il sesamo. L’occhio cade anche sul resto del bancone: sfincione e pizze in teglia, fritti (qui è rinomato il crostino), verdure in pastella, cazzilli e panelle e altre leccornie dalla lunga digestione.
Abbiamo assaggiato il pani ca’ meusa maritata, e ci siamo concessi sfincione, crostino, panelle e cardo in pastella.
Pani ca’ meusa maritata
Le mani veloci del signor Di Giovanni afferrano la milza affettata, dopo un tuffo nello strutto che bolle sornione, con la classica forchettina a due punte l’afferra e la infila nella muffoletta. Una spolverata di caciocavallo stagionato e via, il panino è pronto.
Manca la scelta del pane: solo muffoletta, niente mafalda.
Il pane è neutro, delicato e fresco. Il sesamo è leggermente aromatico.
La milza è molto buona, non trasuda strutto, ma è umida e piacevole. Il formaggio a maritare la milza c’è, forse un po’ poco, lasciando prevalere le sensazioni dolci del panino. Nel complesso è piacevole, equilibrato, senza picchi di sapidità (che, diciamoci la verità, non guasta). Il panino si finisce senza problemi, non unge lingua e palato e soprattutto non lascia un senso di pesantezza post-prandiale. Accompagnato da una birra fredda, ottimo compagno di chiacchiere con amici.
Se poi, accompagniamo il pani ca’ meusa alle panelle appena fritte, ad una fetta di sfincione (molto molto buono, ma questa potrebbe essere un’altra storia), alziamo bandiera bianca ed è bene mettersi a passeggiare per non sentirsi in colpa!