C’era una volta Consonno… potrebbe essere questo l’inizio di una favola dal lieto fine. Siamo qui, invece, a raccontare una storia che non ha un lieto fine, nonostante tutto abbia preso il via per essere una favola.
Siamo in Lombardia, nei pressi della città di Lecco. Tra i monti, celata dai boschi, sorge quella che fu la realtà di Consonno, la città dei balocchi.
Consonno: balocchi e fantasmi
Consonno è un luogo fatto di cemento, radici, mattoni, rami, asfalto, prati, silenzi e voci.
Si, sembrerà un elenco abbastanza sciocco, composto di cose che spesso, insieme, non possono coesistere. Invece, tra i boschi, questo è quanto abbiamo trovato a Consonno.
Abbiamo deciso di raggiungere questo luogo abbandonato una mattina di gennaio, complice il bel tempo ed un sole piacevolissimo che ben si sposava con la brina ghiacciata e il freddo pungente dell’inverno. E’ tutto un gioco di contrasti, dal meteo al luogo: coincidenze?
La strada da Milano non è troppa, e in un’oretta circa si raggiunge la provincia di Lecco e la cittadina di Olginate. Da qui inizierà il vero percorso per raggiungere Consonno.
Ascesa al monte
Arrivati ad Olginate, piccolo comune che respira l’aria del lago, abbiamo raggiunto via Belvedere e qui lasciato l’auto. Guardando verso il monte, su cui si inerpica la strada, si nota subito l’asfalto salire su via per Consonno. E’ questa la strada da percorrere.
Lo si può fare in auto, ma ad un certo punto, dopo un po’ di tornati, la strada si interrompe avanti ad un cancello in ferro, chiuso. Diventa problematico trovare un luogo adatto a parcheggiare l’auto, meglio lasciarla un po’ più a valle e proseguire a piedi.
Così abbiam fatto.
Il freddo, dietro il monte, all’ombra si è fatto subito sentire. Camminando, però, il corpo si scalda e solo le mani (meglio se portate dei guanti, in inverno) soffrono un po’.
Per il primo lungo tratto c’è poco da ammirare. Si cammina su asfalto, tra tornati e boschi. Ogni tanto una costruzione residenziale, ma nulla di particolarmente affasciante da rapire l’attenzione.
Raggiunta la sbarra/cancello, superato il tutto agevolmente grazie al passaggio pedonale sempre aperto, si prosegue su asfalto ancora un po’, sempre circondati dal bosco. E’ improvvisa l’apparizione della prima struttura cementizia, abbandonata, che fa da introduzione a Consonno.
Consonno, la città fantasma
Il primo edificio ci accoglie, disadorno e cadente. Cemento, mattoni forati, murales. Uno spiazzo di asfalto malandato e un po’ di prato gelato. Un luogo strano, che profuma di abbandono.
Ci incamminiamo, baciati dai raggi di un sole davvero desiderato nel mentre ci inerpicavamo verso la meta coperti dall’ombra. Tra le fronde degli alberi si intravedere qualcosa, è il minareto di Consonno.
Lungo la striscia di asfalto sbiadito appaiono i primi cartelloni, arrugginiti, che annunciavano l’essere in prossimità di quel luogo che avrebbe dovuto essere “la Città dei balocchi“.
L’atmosfera intorno non è affatto cupa, probabilmente anche grazie alla complicità di un sole stranamente tiepido. La strada prosegue, immersa nel silenzio, verso il centro di Consonno.
Si apre, sulla destra della strada asfaltata, lo sguardo e subito percepiamo il minareto, una delle strutture principali del complesso che caratterizzava Consonno e poi la piazza.
Passeggiando notiamo una bella, piccola, chiesa. E’ li, solitaria e silenziosa, chiusa.
E’ qui che prende il via la storia di Consonno.
Qui fu Consonno
Su questa montagnola che domina il lago si respira aria fredda, ed un tempo, quando il mondo era meno antropizzato di oggi, sicuramente i profumi erano molto più intensi.
C’erano borghi, cascine, campagne e boschi in Brianza.
(…) Là dove c’era l’erba ora c’è
una città,
e quella casa in mezzo al verde ormai
dove sarà.Il ragazzo della Via Gluck – Adriano Celentano
Allora su quel monte c’era un borgo agricolo, il borgo di Consonno. Raggiungibile solo grazie ad una mulattiera, il borgo aveva un’economia prettamente agricola: castagna, prodotti del bosco, un antico e famoso sedano.
Tutta l’economia ruotava intorno al traffico di questi prodotti con il mercato di Olginate, cittadina posta a valle.
Del borgo di Consonno nessuno dei residenti era proprietario della propria abitazione. Tutto apparteneva all’Immobiliare Consonno Brianza.
Del borgo agricolo che fu, oggi resta a malapena una traccia: la chiesetta a cui abbiamo fatto cenno precedentemente.
Il destino di questi borghi rurali non è stato roseo, ed il tempo lo conferma. Già nel 1960 i residenti erano poco più di una cinquantina.
Il conte e la nuova Consonno
Il denaro cambia tutto, anche la storia. Non è una novità, no?
E Consonno è parte di questo mondo, sottostà alle sue regole. L’arrivo del Conte Mario Bagno è l’inizio di una nuova storia.
Imprenditore edile, il conte è un personaggio eccentrico. Mentre l’Italia esplode economicamente, ma ancora nessuno punta al mercato immobiliare come reale investimento, Mario Bagno mette gli occhi sul borgo agricolo.
L’8 gennaio 1962 il Grande Ufficiale Mario Bagno, Conte di Valle dell’Olmo compra Consonno.
La transazione ammonta a 22.500.000 di lire.
Viene realizzata una strada che collega Olginate al borgo, contestualmente la crisi agricola porta allo spopolamento di Consonno e la fuga, in cerca di migliori condizioni di vita, di quelli che furono i suoi abitanti. Nasce l’idea di una Consonno, Las Vegas della Brianza.
Le ruspe abbattono, betoniere scaricano vagonate di cemento. Si costruisce, come il Conte desidera. Palazzetti, sfingi egizie, cannoni e pagode spuntano qui e li.
Da un’intervista andata in onda sulla TV Svizzera ricaviamo:
“Farò il circuito in quella zona là – annuncia compiaciuto il conte Mario Bagno guardando il poggio semidistrutto – è uno dei più belli per la zona panoramica quasi d’Europa; vorrei dirlo forte perchè forse un circuito così se avrò i mezzi non ci sarà uguale, è piccolino ma molto elegante; lì sotto farò – aggiunge il Conte Bagno – il campo di calcio, il campo della pallacanestro e del tombarello, che è uno sport che si svolgerà in declino; qui vengono i campi da tennis, delle bocce, e da minigolf, di là dovrà venire la pista del pattinaggio, luna park e uno zoo di bestie da parco e giardino, un grande zoo, con un grande ristorante popolare con orchestrine curiose, è vero, per attirare tutto il pubblico naturalmente“.
Il mondo dei balocchi?
Mario Bagno sognava una città dei balocchi.
Gli anni sessanta e gli anni settanta sono il periodo più turbolento della vita di Consonno. Il flusso d’utenza (turisti) cresce rapidamente, tutti sono attratti da questo luogo stranissimo: c’è un minareto (c’è ancora oggi), una galleria di negozi arabeggianti, sale da gioco, sale da ballo, un Grand Hotel Plaza, statue, cannoni, feste, serate danzanti, una voglia sfrenata di divertimento.
Alle serate di festa a Consonno parteciparono perfino i Dik Dik e Pippo Baudo.
Finito l’effetto novità, però, tutto inizia ad essere meno luccicante. Iniziano anche le prime proteste: si pone attenzione al disagio ambientale che questa realtà stava arrecando, a come la costruzione selvaggia avesse deturpano un patrimonio arboricolo antico di secoli.
Nell’autunno del 1967 una frana blocca la strada di accesso al borgo delle feste. Inizia il vero declino.
Consonno: vendesi!
Il periodo buio di Consonno dura ormai da moltissimi anni. Non dovrebbe, infatti, neppure sorprendere il tentativo di vendita dell’intero lotto.
Gli eredi di Mario Bagno provarono, ormai qualche anno addietro, a liberarsi della proprietà abbandonata. 30.000 metri quadri di superficie da demolire e riedificare, un progetto che nuovamente prospetta ricchezza, turismo, vita tra i boschi sui colli che guardano a Lecco. Insomma, un un nuovo sogno (o incubo?) messo in vendita.
Per chi fosse curioso, Consonno era stata messa in vendita a 12.000.000 €.
Pare si fosse palesato un interesse da parte della famiglia Facchinetti, poi naufragato in fase di contrattazione. Poco dopo, infatti, rispuntò l’annuncio di vendita.
Come sia andata, ad oggi, è facile intuirlo. Il borgo fantasma risuona solo delle voci degli escursionisti più curiosi, che attratti da luoghi abbandonati e decadenti, si avventurano in una passeggiata nei pressi di Olginate. C’è chi fa hiking, chi ci arriva in mountain bike, chi in gravel, chi correndo, chi passeggiando.
Consonno: la città dei (non) fantasmi
Giunti nei pressi della chiesa, prima di iniziare un viaggio nella storia del luogo, abbiamo volto lo sguardo verso quella che fu la “Città dei balocchi“. Oggi è un groviglio di ferri da costruzione arrugginiti, cemento fatiscente, muschi, gatti randagi e murales dai colori brillanti.
Svetta, con alle spalle le Alpi, il vecchio minareto. Puntiamo in quella direzione e ci incamminiamo.
Complice un tiepido sole invernale, un cielo azzurro brillante, la vegetazione con ancora qualche tenue riverbero di verde, ma quel senso di cupo, angoscia e abbandono viene a mancare. E con esso la tragicità dell’abbandono dei luoghi in cui siamo.
E’ stano a dirsi, ma tutto questo abbandono non mette malinconia, neppure una sensazione di disagio, ma lascia quasi indifferenti.
Una tragicità che non c’è
Manca la tragicità, in questi luoghi. Sicuramente set interessante per gli appassionati di urbex, dove con una narrazione video-fotografica potrebbero essere accentuati i toni steam-punk del luogo, per chi si aspetta suggestioni particolari potrebbe essere una delusione.
Non è la prima volta che mi avventuro in luoghi con alle spalle storie tragiche, un esempio su tutti, di cui magari vi narrerò poi, è la città di Compsa (in Campania). In questo luogo si percepisce, fin dai primi passi mossi, un senso di angoscia. Una cittadina sventrata dal terremoto dell’Irpinia (1980), crollata, abbandonata, che ha lasciato spazio ad una città di epoca Romana. Si affaccia anch’essa su un lago, quello della Diga di Conza della Campania, ma qui si respira un’aria pesante, suggestiva.
Anche Bisaccia, il paese vecchio, sempre in Irpinia, distrutto e poi abbandonato dopo il terremoto che ha flagellato l’entroterra campano restituisce sensazioni ed emozioni che restano impresse nell’anima.
“Ma quale città fantasma, rispetto all’Irpinia Consonno è New York!”
Mi scrisse un amico, autore di un video che racconta proprio l’abbandono, la cupezza e la quiescenza di luoghi morti per via delle scosse telluriche.
Vi lascio al suo video: Bisaccistan, eutanasia di un borgo
Cemento, graffiti, panorami
Attraversiamo la piazza deserta. Un gatto obeso ci osserva sornione.
Reti metalliche ci separano da resti di vecchie sculture, mentre sulla sinistra qualche edificio fatiscente riposa silenzioso.
La strada, asfaltata prosegue per un centinaio di metri. Mentre a sinistra ci si muove verso il basso dove un paio di edifici stan fermi ed un vecchio silos diventa sempre più marrone, qualche albero fessura il cemento.
Sulla destra superiamo delle scale e finiamo su un tetto piano, con catrame impermeabile posato. Il Minareto è proprio d’avanti a noi. E’ lì, meno suggestivo che da lontano. Colonne di cemento e pareti di foratini.
Sotto i nostri piedi, al piano terra, stanze piene di graffiti, pattume, più un senso di trasandato che di abbandono.
Da qui, però, si gode di un meraviglioso panorama zaffiro, sulle valli sottostanti. Con un sole tiepido, l’aria frizzante, è piacevole starsene in silenzio osservando la natura che avanza.
C’è poco altro li intorno che ci incuriosisce, niente attrae particolarmente l’attenzione.
Riprendiamo la strada verso valle, godendoci a pieni polmoni l’aria che ancora profuma di bosco.